Addio ufficio, con il coronavirus si lavora da casa
Gli addetti ai lavori delle risorse umane sono convinti che, una volta passata la paura del coronavirus resterà una lezione sull’organizzazione delle aziende. Citylife, uno dei quartieri di shopping e uffici che ha ridisegnato il profilo di Milano, ne diventa un avamposto in un mite lunedì di febbraio. Sull’area troneggiano le torri di Generali e Allianz, le compagnie assicurative che qui hanno accentrato le funzioni di vertice. Se un gigante potesse batterle con le nocche, ne emergerebbe un rimbombo che sa di vuoto.
Poco resta del brulicare di grisaglie che di solito calcano il selciato. Smart working, lavoro agile: è il mantra da queste parti. Una virtù che diventa una scelta necessaria per tutelare il personale e continuare a operare come nulla fosse davanti all’emergenza sanitaria. Calcolano ad Allianz che dei circa 2.600 dipendenti che lavorano alla torre milanese, la metà non sia in ufficio. Periodo di sciate e Carnevale, certo, ma è soprattutto l’invito al lavoro a distanza che ha svuotato i moderni open space. La comunicazione ai dipendenti è arrivata domenica, dopo le riunioni di una task force che si aggiornava al ritmo della cronaca: è corsa sulla Intranet interna, ribadita poi a cascata dai vertici a tutti i livelli. Chi è abilitato allo smart working (1.200 persone sulle 5 mila in Italia), per una settimana lavorerà da casa. Per quelli che presenziano, gli orari di ingresso e uscita sono ampliati per sfuggire all’affollamento dei mezzi pubblici.
Chiuse le mense, l’auditorium, la palestra e il bar. Quando si prende l’ascensore non si preme la pulsantiera, per evitare impronte: si avvicina il badge per esser diretti al proprio piano. Gli spostamenti tra i 50 livelli sono vietati. Tutto si smaterializza, anche le riunioni con i colleghi del piano di sopra. È lo stesso disegno degli spazi a consentirlo: le postazioni sono allineate sui lati lunghi degli open space, nel cuore ci sono le sale conferenze con dozzine di monitor e “ragni” per collegarsi a ogni parte del mondo. Un flusso di dati al quale ogni dipendente, dal suo portatile, può prender parte.
Fronteggiare il caos straordinario potenziando le misure ordinarie: è quel che accade anche dai dirimpettai delle Generali, altri 2.100 dipendenti, molti dei quali sono abituati a lavorare in remoto due giorni alla settimana (oltre il 50% a livello di gruppo) grazie a un accordo sindacale: chi può farlo è stato invitato a utilizzare al massimo, in questi giorni, il beneficio contrattuale. Sicurezza dotata di termometri e detergente sul banco della reception segnalano che la guardia è alta. Ma negli uffici senza postazioni fisse, dove ogni sera si libera la scrivania lasciando il proprio pc in un armadietto (quando non serve per lavorare da casa l’indomani), la paralisi è solo apparente.
Produttività in aumento, più tempo per la famiglia, risparmi sui trasporti e sulle emissioni, riduzione dell’assenteismo (meno 20-30% alle Generali): questi i dividendi, in tempi di pace, dal lavoro smart. Garanzia della continuità operativa, in tempi di crisi. Tutti i big vi stanno facendo ricorso: 1.600 dipendenti in Aon, altri mille in Snam, solo per citarne alcuni. In Vodafone, dove da anni si lavora sul punto, tra Milano, Padova, Bologna, Ivrea e Torino restano a casa in 2.700 su 3.400 (si supera il 90% nelle sedi meneghine).
Il lavoro senza lavoratori, però, fa anche le sue vittime. Bisogna scendere tra i bar e i ristoranti di Citylife per trovarli: “Abbiamo il 70% di clienti in meno”, stima una cameriera sfaccendata. “Questa sera chiuderemo, anche se potremmo restare aperti, e lasceremo solo una persona in cucina per preparare le consegne a domicilio”. La cena, nella City spaventata dal virus e protetta dagli anticorpi smart, si consumerà rigorosamente a casa.
Fonte: Repubblica.it